L’impatto dell’industria della moda in cifre
Ogni secondo nel mondo viene mandato in discarica o bruciato l’equivalente di un camion della spazzatura di tessuti. La Ellen MacArthur Foundation ha stimato che ogni anno si perdono circa 500 miliardi di dollari di valore per indumenti che vengono indossati a malapena e raramente riciclati. Mediamente, infatti, il numero di volte in cui utilizziamo un capo è diminuito del 36% rispetto a 15 anni fa, a fronte di una produzione pressoché raddoppiata. Come se non bastasse, l’85% dei rifiuti tessili finisce ancora in discarica, anche se per la quasi totalità potrebbe essere riciclato. Già solo prolungare la vita di un indumento di 9 mesi, secondo gli esperti, ridurrebbe l’impatto ambientale del 20-30%. Quanto ad inquinamento, stando alle stime delle Nazioni Unite, l’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra e, secondo il Circular Fashion Report 2020, circa 500.000 tonnellate di microfibre finiscono ogni anno negli oceani a causa dei lavaggi. Il settore è anche tra i maggiori consumatori d’acqua a livello mondiale.
Una luce in fondo… alla passarella
Se la strada verso una moda sostenibile è ancora lunga, cresce la consapevolezza che sia l’unica e la più vantaggiosa da percorrere.
Molte organizzazioni e aziende si stanno sempre più impegnando in iniziative come il riuso, il riciclo e la rigenerazione dei capi e stanno investendo nell’innovazione dei processi e nello studio di materiali biodegradabili.
Da parte dei consumatori la maggior sensibilità in questa direzione emerge anche dai social media: su Instagram l’hashtag #sustainablefashion conta oltre 10,2 milioni di post ed è ipotizzabile che nel prossimo futuro saranno sempre più premiati i brand concretamente impegnati per la sostenibilità.
Un segnale importante arriva anche dalle Settimane della moda. Già a inizio 2020, ad esempio, la Copenaghen Fashion Week aveva lanciato il suo piano di azione triennale per la sostenibilità, impegnandosi alla riduzione dell’impatto ambientale dell’evento del 50% entro il 2022. Quest’anno la CFW introduce un sistema a punti per valutare gli sforzi “green” dei brand, ai quali viene chiesto, per poter essere inseriti nel calendario delle sfilate, di soddisfare entro il 2023 17 requisiti minimi di sostenibilità, tra cui l’impegno a non distruggere i vestiti invenduti, avere almeno il 50% di tessuti certificati, organici o riciclati e utilizzare solo imballaggi sostenibili.
5 trend per una moda più sostenibile
1. Economia circolare e utilizzo di fibre biodegradabili o ricavate da prodotti di scarto, come cotone organico, lana e plastica riciclate, fibre artificiali e canapa;
2. Noleggio: il cosiddetto “fashion renting” sta diventando sempre più popolare soprattutto per abiti e accessori da indossare in occasioni speciali
3. Trasparenza e tracciabilità della filiera: da parte dei consumatori cresce la richiesta di conoscere dove e da chi vengono prodotti i capi
4. Usato: secondo uno studio di Boston Consulting Group entro 5 anni il mercato della moda usata crescerà del 15-20% spinto in particolare dalla domanda della Generazione Z che non considera più un tabù comprare abiti di seconda mano
5. Riduzione dei resi online: con l’aumento del commercio online sta crescendo anche il volume dei resi per cui l’obiettivo delle aziende è ricreare l’esperienza del camerino a casa in modo da limitare gli acquisti ad elevato tasso di restituzione.
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