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Erica Stoppa

Macchia nera sulle coste d’Israele

“Il peggior disastro ecologico degli ultimi 10 anni”. Così il governo israeliano ha definito i danni della marea di petrolio arrivata sulle coste dello Stato l’11 febbraio 2021.


Al momento, oltre 170 Km di litorale sono ricoperti da macchie oleose, e dal 21 febbraio tutte le spiagge che affacciano sul Mar Mediterraneo sono accessibili ai soli volontari.


Da subito, infatti, centinaia di persone guidate da ONG e autorità ambientali locali hanno dato il loro contributo per cercare di limitare il più possibile i danni all’ambiente; la maggior parte delle persone intervenute ha poi riportato sintomi da inalazione di fumi tossici. Tramite olii particolari hanno tentato di togliere dall’acqua quanto più petrolio possibile, ma ciononostante sono stati registrati gravi danni per l’ecosistema.


Il catrame ha ricoperto pesci, tartarughe ed altri animali marini, tra cui probabilmente anche la balenottera comune ritrovata spiaggiata qualche giorno dopo l’accaduto.


Secondo Shaul Goldstein, direttone dell’Autorità di Parchi e Natura d’Israele, ci vorranno mesi per ripulire le coste, soprattutto quelle rocciose, e ancora di più per quantificare con maggior precisione i danni arrecati all’ecosistema. Per tali motivi il 23 febbraio il governo israeliano ha indetto una riunione d’emergenza per decidere il da farsi, stanziando circa 11,3 milioni di euro per la pulizia delle coste dal petrolio.


Si pensa che la causa di questo disastro sia la fuoriuscita della sostanza da una o più petroliere a circa 50 Km al largo delle coste israeliane poi portata a riva dalle correnti; al momento, la principale sospettata è la nave greca Minerva Helen, già protagonista di una perdita di petrolio a largo di Copenhagen nel 2008, ed ora ancorata nel porto spagnolo di Cartagena.


La gravità di questo evento è sottolineata dal fatto di aver lanciato l’allarme solo quando il greggio aveva ormai raggiunto le coste arrecando danni irrimediabili. Shaul Chorev, ammiraglio in pensione, ha dichiarato: “Le nostre attività sono sempre focalizzate sulle azioni terroristiche, ma questo non è il quadro completo della sicurezza in mare”. E ancora Maya Jacobs, amministratore delegato dell’associazione ambientalista Zalul, afferma: “Dovremmo interrompere immediatamente l’attività degli impianti di perforazione ed attuare una transizione per l’utilizzo di energie rinnovabili”.


Questioni che ci riportano al simile episodio avvenuto la scorsa estate alle Mauritius e impongono una riflessione sempre più urgente sull’utilizzo dei combustibili fossili e una transizione più veloce verso fonti di energia rinnovabili.

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